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Carcere. L’alternativa è possibile

Quando l’ho letto

Diverso tempo fa, molto prima che io iniziassi ad abitare a Rimini, avevo scoperto, guardando per caso un servizio mandato in onda da Le Iene, che in una piccola località dell’entroterra riminese esisteva una cosa chiamata CEC (Comunità Educante con i Carcerati). Mi affascinava. Sembrava un esperimento così ‘utopistico’ da essere irreale. E invece le CEC esistono davvero, e ce ne sono varie in Italia (di cui più di una in Romagna). Proprio durante i miei primi giorni da riminese, all’inizio del 2021, veniva lanciato questo libro.

Il libro

Giorgio Pieri, autore del libro, è un educatore professionale riminese e coordinatore nazionale del progetto CEC, il quale è portato avanti dalla Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Le CEC si ispirano al modello brasiliano APAC (Associazione per la Protezione e Assistenza ai condannati) e propongono una modalità di espiazione della pena alternativa al carcere.

In questo libro, Pieri ci racconta la CEC: la sua storia e il funzionamento. Ma è anche una occasione per far luce su storia, limiti e contraddizioni dell’attuale sistema carcerario italiano. La spiritualità cristiana è una presenza importante sia dell’iniziativa stessa che del suo racconto, ma è bello pensare che il valore e la portata di questa esperienza possano arrivare, davvero, alla sensibilità di tutti.

Da ultimo, ma non per importanza, acquistare questo libro significa sostenere economicamente il Progetto CEC, i cui costi, ad oggi, sono quasi completamente a carico dell’associazione.

Uno dei miei estratti preferiti

«Al contrario, la misura alternativa è una modalità attraverso la quale la risposta al reato assume una fisionomia progettuale che contempla certamente una componente punitiva e di controllo, ma che è soprattutto orientata al recupero sociale dell’autore. Quindi, maggiormente utile. Questo mi sembra essere il segno importante che oggi deve essere dato, in un contesto che tende invece a svilire il significato delle misure alternative presentandole come un sottrarsi alla “giusta punizione”.»

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Fine pena: ora

Quando l’ho letto

Ho letto questo libro durante il primo lockdown, all’inizio del 2020. Ricordo la sensazione delle prime giornate di primavera passate a leggere sul balcone di casa: questo piccolo libro blu tra le mani e la sua intensità nel cuore. Finalmente potevo dedicarmi un po’ alla lettura, dopo tanto tempo, e questo titolo in lista da tempo. 

Finora, senza dubbio, il mio preferito.

Il libro

Uno scambio epistolare di 26 anni tra un ergastolano e il suo giudice. Nel 1985, all’indomani della sentenza, Elvio Fassone – ex magistrato, politico, autore – raggiunge con una lettera in carcere Salvatore, il giovanissimo protagonista della mafia catanese condannato al “fine pena mai”. Il legame che si crea tra i due e il loro scambio di lettere permette all’autore e a noi lettori di conoscere e seguire la vita in carcere di un giovane ragazzo, presto adulto, che dal carcere non uscirà mai. Che rincorrerà negli anni, speranzoso, il suo riscatto umano e sociale. E ci permette di riflettere, insieme all’autore, sul senso della pena, sul percorso umano dei condannati e sulla conciliazione tra quest’ultimo e l’esigenza di sicurezza delle società. 

La penna di Fassone punta dritto al petto e centra il cuore. Ho regalato e suggerito a diverse persone questa lettura, perché credo sia pietra rara ed arma potente.

Uno dei miei estratti preferiti

«E’ incredibile come esiti di frustrazione e di sofferenza si producano anche senza che una volontà malvagia li voglia: non c’è bisogno di essere crudeli, basta un’applicazione asettica di regole senza pensare ai possibili effetti secondi, basta una prudenza un po’ rancida all’insegna del non volere grane, il rifugio anestetico nelle procedure, la prudenza elevata a sapienza: e le carte dei protocolli restituiscono l’individuo al ruolo kafkiano di quello che attende davanti a una porta della quale nessuno ha la chiave».