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Fine pena: ora

Quando l’ho letto

Ho letto questo libro durante il primo lockdown, all’inizio del 2020. Ricordo la sensazione delle prime giornate di primavera passate a leggere sul balcone di casa: questo piccolo libro blu tra le mani e la sua intensità nel cuore. Finalmente potevo dedicarmi un po’ alla lettura, dopo tanto tempo, e questo titolo in lista da tempo. 

Finora, senza dubbio, il mio preferito.

Il libro

Uno scambio epistolare di 26 anni tra un ergastolano e il suo giudice. Nel 1985, all’indomani della sentenza, Elvio Fassone – ex magistrato, politico, autore – raggiunge con una lettera in carcere Salvatore, il giovanissimo protagonista della mafia catanese condannato al “fine pena mai”. Il legame che si crea tra i due e il loro scambio di lettere permette all’autore e a noi lettori di conoscere e seguire la vita in carcere di un giovane ragazzo, presto adulto, che dal carcere non uscirà mai. Che rincorrerà negli anni, speranzoso, il suo riscatto umano e sociale. E ci permette di riflettere, insieme all’autore, sul senso della pena, sul percorso umano dei condannati e sulla conciliazione tra quest’ultimo e l’esigenza di sicurezza delle società. 

La penna di Fassone punta dritto al petto e centra il cuore. Ho regalato e suggerito a diverse persone questa lettura, perché credo sia pietra rara ed arma potente.

Uno dei miei estratti preferiti

«E’ incredibile come esiti di frustrazione e di sofferenza si producano anche senza che una volontà malvagia li voglia: non c’è bisogno di essere crudeli, basta un’applicazione asettica di regole senza pensare ai possibili effetti secondi, basta una prudenza un po’ rancida all’insegna del non volere grane, il rifugio anestetico nelle procedure, la prudenza elevata a sapienza: e le carte dei protocolli restituiscono l’individuo al ruolo kafkiano di quello che attende davanti a una porta della quale nessuno ha la chiave».