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Codice a sbarre

Questo libro l’ho scoperto proprio in carcere, grazie ad un gruppo di lettura. Un ragazzo detenuto – che ha conosciuto personalmente l’autore del libro durante un’esperienza di detenzione – ne ha proposto la lettura e ne ha estrapolato, per ogni appuntamento, dei pezzettini significativi da riportare al gruppo. Queste citazioni sono servite da input, a lui e agli altri, per parlare a noi dei loro pezzi di vita in carcere.

Una storia vera, autobiografica, raccontata intensamente, approfonditamente e con dovizia di particolari. Pietro Paolo Polizzo ci racconta la sua storia, o meglio, la storia di quei quattro anni di vita in cui ha scontato una pena in carcere. Una storia che inizia in maniera del tutto inaspettata, e in un secondo. Lo sappiamo che un secondo può ribaltare una vita (anzi, due). Una storia resa ancora più turbolenta da alcune decisioni disgraziate: ancora una volta, una questione di pochi secondi.

Un “hippy capellone” ventenne che finisce, quasi senza rendersene conto, dietro le sbarre. Che sperimenta il sistema penitenziario degli anni ’70 in Italia, che visita diverse carceri, che rimane incastrato negli ingranaggi della giustizia e dei media. Polizzo ci racconta la pena detentiva così com’era nei suoi anni di giovinezza, e di cui molte cose risuonano, immutate, nel presente.

Nel ripercorrere i passaggi di quei quattro anni di reclusione, ci racconta la perdita dei legami, il rapporto con il personale penitenziario, il potere distruttivo dei giornali, i gesti di solidarietà, la routine rigorosamente scandita e logorante, le attese, il potere delle lettere, la speranza, l’impotenza, la rabbia… ed il rischio di uscirne, in fin dei conti, persone peggiori. Anche questo libro ci regala una riflessione sulla pena detentiva, attraverso il vissuto interiore ed esteriore dell’autore e protagonista.

Alcuni dei miei estratti preferiti (scegliere è stato faticoso)

«L’orologio del microcosmo penitenziario, sincronizzato su di una lunghezza d’onda parallela rispetto alla normalità della vita esterna, scandiva il ritmo degli eventi quotidiani. Il tempo si trascinava stancamente, quasi a sembrare fermo, rallentato dal senso di apatia causato dall’ozio logorante, dall’ansia dell’attesa del nulla.»

«C’è davvero poco di umano in ciò che fa da sfondo a quel luogo così angusto che è il carcere, all’atmosfera che in esso si respira. E non penso ovviamente al luogo in sé, alle sbarre o alle pareti spesse, piuttosto a quel codice consuetudinario che subdolamente regola ogni cosa lì dentro. Eppure, se solo quelle sbarre potessero parlare, chissà quante storie di profonda fratellanza e solidarietà, umana complicità e sostegno potrebbero raccontare. Detenuti di ogni provenienza, guardie d’ogni rango, una variegata umanità di persone accomunate dallo stesso scomodo destino: trovarsi in un luogo che in un modo o nell’altro, prescindere dalla parte in cui stai, ti corrode dentro. Gli uomini e le donne che a qualsiasi titolo varcano la soglia del carcere rappresentano la quintessenza di quella umanità sommersa, storie che tra quelle sbarre quotidianamente si consumano, ma che in un modo o nell’altro non fanno mai notizia.»

«Il carcere è qualcosa che ti rimane dentro, e da dentro silenziosamente ti logora.»

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Film e Serie Tv

Mare fuori – Serie TV

Un successo enorme. Citazioni, meme, video, spoiler, riferimenti… Mare fuori, ultimamente, è sulla bocca di tutti. Di chi l’ha guardato e di chi non l’ha guardato. I più lo hanno divorato (io rientro in quest’ultimo gruppo). Netflix ha sicuramente permesso a questa serie tv di spopolare. Io – che ho appena finito di guardare tutto d’un fiato l’ultima stagione e aspetto trepidante la prossima – la prima parte la avevo già guardata moooolto tempo prima su RaiPlay. Non mi aspettavo tutto questo successo… ma ci hanno saputo proprio fare! E senza mai essere né banali né inopportuni.

Mai eccessiva, sempre autentica, mai parziale. Avvincente, disincantata e brutalmente realistica, ma anche dolce ed emotiva. Mare fuori racconta di ragazze e ragazzi che abitano un istituto penale minorile napoletano, l’ippiemme. Ma, forse ancor di più che la vita lì dentro, Mare fuori racconta le loro storie. Tante storie che si mescolano. Racconta di ragazzi e ragazze condannati, prima ancora che dai tribunali, dal loro stesso sistema (parola, questa, che ritorna spesso). Racconta cosa significa nascere e crescere imprigionati in contesti violenti e indossare, presto e ineluttabilmente, identità criminali. Racconta che, a volte, salvarne anche uno solo vale un’immensità. Il carcere, così, può diventare talvolta anche rifugio di salvezza e di crescita, ma in tanti casi si trasforma anche in una scuola di criminalità.

Racconta, poi, il potere trasformativo che alcuni valori possono avere: l’amicizia, la fiducia, la solidarietà. Mostra la potenza dei legami all’interno di un contesto come quello. E racconta, con brutale onestà, cosa può voler dire lavorare dentro un carcere, e in particolare un carcere minorile. Cosa significa fare i conti – per educatori, agenti, direttori ed altri – con delle adolescenze già macchiate dall’inchiostro della criminalità organizzata. Adolescenti senza adolescenza, che a volte gridano aiuto e altre volte non possono essere salvati. Racconta, per finire, del potere magico che a volte una persona può avere su una vita quando… si dona fiducia.

Con una bellissima colonna sonora (di Stefano Lentini) e giovani attori che rendono i loro personaggi indimenticabili.